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Osservatorio O.F.W | R di rassegna

Non lo sapevo, ma il termine “marittimo” oltre a essere un aggettivo può assumere la funzione di sostantivo. In quest’ultimo caso, “marittimo” indica genericamente chi lavora nell’ambito della marina mercantile o presso strutture e/o infrastrutture nautiche o portuali. Esso dunque si discosta dal termine “marinaio” proprio per l’ampiezza del suo significato: non solo si riferisce al personale di bordo, ma comprende tutti quei lavoratori e tutte quelle lavoratrici che operano presso i porti sulla terraferma o nei servizi tecnici nautici.

@Rappler ha diffuso la battaglia di un marittimo filippino che – conscio della discriminazione salariale tra lavoratori europei ed extra-europei – ha convinto l’Istituto olandese per i diritti umani a emettere un parere secondo cui tutte le nazionalità a bordo delle navi olandesi devono ricevere parità di retribuzione ed equo trattamento.

Nella lettera interroga così l’Istituto: “per quale motivo percepisco meno della metà dei miei colleghi olandesi? È per la mia provenienza? È a causa del colore della mia pelle?”. Non conosciamo il suo nome, ma – di certo – ne possiede tanti: stando agli ultimi dati (2023) del Consiglio marittimo baltico e internazionale (BIMCO) le Filippine sono il più grande paese fornitore di marittimi al mondo.

© rappler.com

B di Blog

A

Ang Dating Pilipinas. Motto: “Dedicated to the history of the Philippines”. Un blog sostenuto da attente e argute riflessioni sulla società filippina. Voto accessibilità: molto alto. L’autrice scrive in lingua inglese.

B

Benzina Zero. Motto “In città l’auto funziona male. Andare in bici, a piedi e con i mezzi è più efficiente e spesso anche più divertente”. Un blog che nasce nel 2013 per promuovere la bicicletta e una mobilità più sostenibile rispetto al modello autocentrico.

R di rassegna

“[…] (foto: Men standing with pile of buffalo skulls, Michigan Carbon Works, Rougeville MI, 1892. Burton Historical Collection, Detroit Public Library). Migliaia di teschi ammassati uno sull’altro, come un monumento clamoroso all’annientamento. Questa è una delle immagini più rappresentative della storia americana. Una fotografia in bianco e nero, scattata alla fine dell’Ottocento. Una montagna di crani di bisonte, a testimonianza del potere di chi vi poggia i piedi in cima. I coloni bianchi, nella conquista dell’ovest, avevano capito che questo era l’unico modo per spezzare la resistenza degli indigeni e spingerli ad abbandonare quelle terre. E lo sterminio deliberato di quelle mandrie serviva allora, non solo a distruggere le economie native, ma a cancellare ogni possibilità di sussistenza autonoma. Senza animali da cacciare, senza pelle per coprirsi, senza carne per sopravvivere, i popoli indigeni furono spinti alla resa. […] Chi sopravvive, lo fa spesso non grazie alla giustizia, ma alla carità condizionata. Alla provvisorietà di un aiuto che non modifica le cause strutturali, ma le normalizza. La fame come governance è una gestione del disastro che mantiene il disastro attivo.”

“Ma, a mio avviso, il pericolo maggiore è dentro di noi: il famigerato confirmation bias. Potremmo tradurre la locuzione con “pregiudizio di conferma”. In pratica, siamo portati a confermare un’ipotesi tramite prove a favore, piuttosto che cercare di prendere in considerazione evidenze contrarie. Il confirmation bias tenderà quindi a farmi prendere come buone solo le informazioni che confermano l’idea verso cui sono pregiudizialmente orientato, scartando così ogni ipotesi alternativa. Mi indurrà a ricercare e raccogliere tutti i dati che la supportano, rifiutando o sminuendo le informazioni contrarie.”

Cinepresa 04 | Bjøvika

Bjøvika è la zona portuale dove i norvegesi fanno il bagno e prendono il sole. Un tempo l’area era destinata allo stoccaggio di container, oggi costituisce il nuovo centro urbano affacciato sul fiordo di Oslo: è percorso da numerosi locali con saune lungo il molo dove è possibile immergersi nelle acque gelate del Mare del Nord. Ma – cribbio – da dove viene tutto questo benessere?

Sempre in Norvegia, a Mongstad (Bergen), si trova la principale raffineria del paese (“e la più avanzata in Europa”)* del colosso petrolifero Equinor, controllato in maggioranza dallo Stato.

Proprio in questi giorni, circa 200 attivisti di Extinction Rebellion stanno protestando per denunciare l’industria petrolifera nazionale e smascherare “il mito dei Paesi nordici come leader verdi e progressisti”, evidenziando la contraddizione tra l’immagine eco-friendly e la dipendenza da un’economia fossile.

Il video è immerso in un tappeto sonoro di rumori industriali e assordanti di uno stabilimento generico. Purtroppo, non sono riuscita a reperire registrazioni audio specifiche di una raffineria petrolifera. Lo scopo era quello di evidenziare, attraverso la sollecitazione simultanea della vista e dell’udito, le profonde contraddizioni insite nel concetto stesso di benessere.

*fonte equinor.com

#oilkills

P.D.F. | L di libri

Reincantare il mondo. Femminismo e politica dei «commons» (Ombre Corte, 2020) di Silvia Federici è un’opera fondamentale che esplora le potenzialità rivoluzionarie dei beni comuni nella lotta contro il capitalismo patriarcale. In questo testo, Federici analizza il debito come un dispositivo di potere estrattivo, strumentalizzato da governi e istituzioni finanziarie globali per accumulare ricchezza e disgregare i legami di solidarietà sociale. La studiosa sostiene che la crisi del debito non sia un semplice fenomeno economico, ma una strategia sistematica finalizzata a smantellare la capacità delle comunità – dei villaggi come dei “comuni” urbani – di riprodurre la vita in autonomia. Questo processo viene attivamente sostituito con un sistema coercitivo volto esclusivamente alla produzione di plusvalore.

Qui per ascoltare la prima di una serie di interviste (tot. 5) a Silvia Federici

***

Fine pasto. Il cibo che verrà (Einaudi, Vele, 2015) di Vito Teti è un’analisi antropologica della trasformazione del senso del mangiare: dal mondo della fame all’eccesso contemporaneo. Teti esamina come questo passaggio abbia stravolto non solo i cibi e i metodi di produzione, ma anche la salute, i corpi, le relazioni sociali. La perdita della frugalità ha segnato la scomparsa di un intero sistema di valori, alimentando sfruttamento e diseguaglianze globali.

Qui per verificare le biblioteche comunali romane dove è possibile chiedere in prestito il libro

Osservatorio LAVORO DOMESTICO e DI CURA | F di Film

The Flor Contemplacion Story (1995)

Regista: Joel Lamangan
Protagonista: Nora Aunor
Genere: Drammatico, Biografico

Il film è la drammatizzazione della vera e controversa storia di Flor Contemplacion, una lavoratrice domestica filippina emigrata a Singapore.

La vicenda inizia mostrando la vita normale di Flor, una madre di famiglia che, come milioni di suoi connazionali, si è trasferita all’estero per lavorare e mandare i soldi a casa, sacrificando affetti e una vita quotidiana con i propri cari.

La sua esistenza precipita nell’incubo quando viene accusata dell’omicidio di un altro lavoratore filippino, Delia Maga, e del bambino di quattro anni che era sotto la sua tutela. Nonostante le sue ferme dichiarazioni di innocenza, Flor si ritrova sola in un sistema giudiziario straniero che non comprende appieno.

Il film segue la sua battaglia legale disperata e solitaria, le pressioni politiche, le inchieste lacunose e le torture psicologiche che subisce durante la detenzione. Parallelamente, viene mostrato l’impatto della tragedia sulla sua famiglia nelle Filippine e la mobilitazione dell’opinione pubblica filippina, che trasformò il suo caso in un cause célèbre nazionale, mettendo sotto accusa il governo per la sua incapacità di proteggere i propri cittadini all’estero.

  • Qui per guardare il film
  • Qui per leggere un articolo in tagalog dedicato alla magistrale attrice filippina Nora Aunor  pubblicato su Pinoy Weekly

Triangle of Sadness (2022)

Regista: Ruben Östlund
Protagonisti: Harris Dickinson, Charlbi Dean, Woody Harrelson, Dolly De Leon
Genere: Commedia nera, Satira

Vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, Triangle of Sadness di Ruben Östlund condensa in 142 minuti la fragilità di quei rapporti di classe il cui status appare impossibile da sabotare.

Ruben Östlund lo ha reso invece possibile, intervenendo direttamente sullo spettatore. Il film è stato infatti reputato “assurdo”, “strano” da occhi appartenenti ai ceti sociali più o meno abbienti, mentre ha provocato un senso di orgoglio presso quel pubblico composto da persone che, non possedendo mezzi di produzione, non ha altra ricchezza che le proprie braccia, le quali presta sottoforma di forza-lavoro dietro il compenso salariale.

Dolly de Leon, attrice filippina, interpreta magistralmente il personaggio di Abigail, l’inserviente dello yacht di lusso, incarna – dai primi minuti della sua comparsa in scena – “la filippina”.

Quest’ultima espressione fa parte di un meccanismo di identificazione attraverso cui a una data identità nazionale o etnico-razziale vi corrisponde una precisa condizione lavorativa: Abigail è, dunque, l’ennesima filippina che svolge i cosiddetti “lavori umili” e che, quindi, cura, rassetta, cucina.

Ma lungi dall’essere un rinforzo allo stereotipo quello del regista, perché il film riserva uno sviluppo nella sua trama per cui i ricchi villeggianti della crociera di lusso si ritrovano improvvisamente a dover obbedire ad Abigail che, unica in grado di gestire la situazione di difficoltà in cui si ritrovano, riesce a guadagnarsi il rispetto altrui. Di quegli altri che prima la disprezzavano.

In Italia, per converso, le lavoratrici del settore domestico e di cura faticano a ottenere pieno riconoscimento dei loro diritti e, a rigor di logica, maggiori tutele. Si tratta perlopiù di donne di origini straniere che, nonostante il ruolo economicamente attivo di breadwinner (procacciatrici di reddito) delle loro famiglie, sono da sempre escluse dal percorso di emancipazione economica e partecipazione sociale previsto in un sistema socio-politico che si dichiara essere democratico.


Bread and Roses (2000)

Regista: Ken Loach
Protagonisti: Pilar Padilla, Elpidia Carrillo, Adrien Brody
Genere: Drammatico sociale

Bread and Roses uscito nel 2000 e diretto da Ken Loach, è un dramma politico sociale che racconta la storia delle lotte dei lavoratori ispanici immigrati illegali in California, noti come “janitors”, addetti alle pulizie degli uffici, che cercano di sindacalizzarsi per resistere allo strapotere delle ditte per cui lavorano. «Noi vogliamo il pane, ma vogliamo anche le rose. Vogliamo tutte le cose belle, tutte le cose belle della vita». 

Osservatorio LAVORO DOMESTICO e DI CURA | tita Lorelei e tito Renato

tita Lorelei e tito Renato sono una coppia filippina arrivata in Italia in momenti diversi, uniti da un percorso di sacrificio e resilienza. Lei è arrivata per prima, nel 1991, su un treno che da Zurigo scendeva verso Milano per poi fermarsi a Roma. A differenza di altri, all’arrivo non c’era nessuno ad aspettarla.

“Volevo studiare ingegneria”, racconta Lorelei, “ma a casa avevano bisogno di soldi. Così ho messo da parte i libri e ho iniziato a lavorare”. In quel periodo ha condiviso casa con un’altra donna filippina, che le ha insegnato a pulire. “Mi portava con sé, e io imparavo guardando”.

Quei primi anni sono stati segnati da una solitudine tagliente. “Quando lasci il tuo paese, sai che la tua vita coniugale dovrà affrontare molti ostacoli. Io piangevo tutte le sere”, confessa. Renato la raggiunge solo nel 2008, grazie al ricongiungimento familiare. È stata lei, allora, a insegnare a lui il mestiere.

Renato ricorda vividamente la sua prima esperienza come badante: “È il lavoro più difficile, soprattutto quando l’anziano pesa più di te. A volte perde la pazienza e ti sgrida”. Entrambi, oggi, preferiscono di gran lunga le pulizie. “La mattina presto in ufficio o al bar non c’è nessuno che ti guarda o ti dice come fare. È un lavoro tranquillo”, spiega Lorelei.

Eppure, nonostante i ventotto anni di esperienza, quel lavoro non lo sente davvero suo. “Soffro quando mi chiamano ‘la donna delle pulizie’. Rimpiango di non aver potuto studiare”. Renato le posa una mano sulla spalla e sorride: “Non devi vergognarti. È un lavoro dignitoso, come tutti gli altri”.

Osservatorio LAVORO DOMESTICO e DI CURA | Cristina

Incontro Cristina per un’intervista, che si è svolta in uno degli appartamenti che pulisce di solito il giovedì. Appena arrivo, mi accoglie con un gesto verso lo spazio intorno a noi: “Hai visto quant’è piccola? Per fortuna qui non c’è troppo lavoro. Domani, però, mi tocca pulire le finestre di un edificio di suore a Piazza Navona”.

Mentre maneggia il ferro da stiro, Cristina mi racconta di lavorare per una cooperativa, un’impresa di pulizie. “Ti assegnano uffici, condomini, appartamenti… insomma, quello che capita. Io di solito faccio uffici e condomini”, spiega. Sono tre anni che lavora così, ma nel frattempo ha anche avviato lavoretti in proprio. “La cooperativa non è sicura”, ammette. “Ho lavorato per altre cooperative prima: nelle scuole, in altre case… Poi hanno chiuso, e io sono rimasta in difficoltà. Quando cala la domanda, perdono gli appalti e ti licenziano all’improvviso”.

Si tratta soprattutto di una questione di stabilità. Cristina cerca altri lavori soprattutto per ragioni economiche: “La cooperativa paga poco. In privato, invece, il prezzo lo decidi tu con il cliente. Con la cooperativa devi ammazzarti di lavoro per tirare fuori uno stipendio dignitoso”. Alla fine, però, riconosce un vantaggio: “Essere in regola con la cooperativa un giorno mi garantirà una pensione, fosse pure minima”.

Osservatorio LAVORO DOMESTICO e DI CURA | tita Shie

Il primo settembre 2018 incontro Shie. Mi racconta che nel 2008 lasciò il suo paese, le Filippine, e la sua famiglia. Appena arrivata in Italia fu accolta dai parenti, già da tempo residenti in Europa. Ricorda bene la sua prima volta a Roma: “Mi è piaciuta la città, ma ho avuto subito paura. Sentivo che la lingua e il lavoro sarebbero stati difficili”.

Il suo primo impiego fu come collaboratrice domestica. “I datori di lavoro erano molto disponibili, parlavano inglese. Ma i bambini mi trattavano male”, racconta. Poi aggiunge: “Se i bambini che accudisci non li hai cresciuti tu, ti mancano di rispetto. Per esempio, quando piegavo i loro vestiti e li mettevo sul letto, loro li buttavano giù apposta per farmi dispetto. E poi è difficile prendersi cura dei figli degli altri, vederli crescere, senza sapere come stanno i tuoi”.

In undici anni in Italia, Shie non ha mai voluto fare la badante. “È il lavoro più difficile, rispetto alle pulizie e a fare la tata. Non sono abituata a parlare con gli anziani, a lavarli”, confida.

Quando le chiedo se si sia mai sentita trattata male dai datori di lavoro, risponde: “Grazie a Dio, adesso tutti i miei datori sono buoni. Ma in passato ho lavorato in una casa in zona Prati e la padrona era molto tirchia: non mi lasciava usare l’acqua calda per lavare i piatti. Quando le mostrai le mani screpolate, mi disse di usare i guanti. Inoltre la madre, dopo che pulivo il pavimento e passavo la cera, sbriciolava per terra il biscotto che stava mangiando”.

Oggi Shie lavora in sei case diverse, tutte con contratto part-time. “È meglio lavorare con il contratto, sia per me che per i miei datori. È più sicuro essere in regola: hai la tredicesima, i giorni di malattia pagati e le ferie”.

Concludiamo l’intervista con il suo appello ai datori di lavoro, presenti e futuri:
“Io spero di essere trattata bene anche in futuro. Con questo lavoro non puoi aspirare al meglio, ma speri sempre che al colloquio ti capiti una brava persona. Preferisco guadagnare di meno ma lavorare in un ambiente accogliente, piuttosto che guadagnare qualche euro in più e avere datori che non apprezzano quello che fai”.

Osservatorio LAVORO DOMESTICO e DI CURA | I di inchieste

  1. The domestic slaves rescued from London’s richest streets (Le schiave domestiche salvate dalle strade più ricche di Londra), Channel 4 News | 25/08/2023
  2. Exploitées en silence: des femmes réduites à l’esclavage en plein Paris (Sfruttate in silenzio: donne ridotte in schiavitù nella Parigi bene), FRANCE 24 | 18/07/2025

P di podcast

  • #02 Terra Bruciata, Elena Basso
    note di ascolto: delle nove ore macinate in ufficio, la fascia di tempo che scorre dalle tredici alle quattordici è quella in cui io e il gruppo colleghə ritorniamo a “riaverci”: riacquistiamo un’identità quasi del tutto distaccata da quella che ci caratterizza nella ore produttive: siamo affamati e il frigorifero è il riflesso dei nostri bisogni. Diventiamo, quindi, divoratori di cibo in scatola, in latta e in busta.  Al contempo, però, in quei sessanta minuti assumiamo la forma e la funzione dei parassiti che – ingobbiti alle proprie scrivanie – si cibano della terra. Siamo organismi infestanti e sfruttatori biologici anche in pausa pranzo perché abusiamo dell’ospite (Madre Terra ndr), spesso senza ucciderlo (almeno non immediatamente). La rivelazione si è compiuta sotto la luce LED dell’elettrodomestico, che illuminava un innocente avocado maturo.

  • #01 New York orizzontale, Francesca Berardi, Tre Soldi, 04/01/2025 | Rai Radio 3
    note di ascolto: ho ascoltato questa puntata mentre lavavo i piatti. Un’attività manuale in fondo alle mie preferite, che si è riempita di senso quando ho iniziato ad ascoltare i suoni e i rumori della notturna attività dei canner (“le persone che vivono raccogliendo bottiglie e lattine vuote che valgono 5 centesimi a pezzo”). E poi sopraggiunta la percezione di una  dimensione domestica allargata: lo sguardo cominciava a prendere quota. Vedevo la città della grande mela dall’alto. Eppure non ci sono mai stata e, per pregiudizio da altri considerato fondato, non la sogno come meta.

 

Galleria | Windows XP | 16

 

Francesca Coin, Le grandi dimissioni, Einaudi, 2023

parang mga bata/
na naglalaro/
tuwing linngo/
gamit ang liwanag/
ng katotohanan/
tuwing Linggo

come dei bambini/
che giocano/
ogni domenica/
con la luce/
della verità/
la Domenica

 

 

Per leggere l’introduzione scarica l’allegato dal seguente link ⬎

[Contro il sapere è elitario: se desideri sfogliare il libro ma hai pochi spicci in tasca, scrivi a osservatoriopedonale@gmail.com εїз ]

Galleria | SAR | 8

SAR: (Search and Rescue) è l’acronimo inglese per “ricerca e soccorso”, utilizzato per indicare le operazioni di salvataggio condotte in mare per soccorrere persone in difficoltà o in pericolo.

Galleria | San Petronio | 3

 

La basilica di San Petronio affascinò Giosuè Carducci, che le dedicò la poesia Nella piazza di San Petronio:

Surge nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna,e il colle sopra bianco di neve ride.È l’ora soave che il sol morituro salutale torri e ‘l tempio, divo Petronio, tuo;le torri i cui merli tant’ala di secolo lambe,e del solenne tempio la solitaria cima.Il cielo in freddo fulgore adamàntino brilla;e l’aër come velo d’argento giacesu ‘l fòro, lieve sfumando a torno le moliche levò cupe il braccio clipeato de gli avi.Su gli alti fastigi s’indugia il sole guardandocon un sorriso languido di vïola,che ne la bigia pietra nel fosco vermiglio mattonepar che risvegli l’anima de i secoli,e un desio mesto pe ‘l rigido aëre svegliadi rossi maggi, di calde aulenti sere,quando le donne gentili danzavano in piazzae co’ i re vinti i consoli tornavano.Tale la musa ride fuggente al verso in cui tremaun desiderio vano de la bellezza antica.

Galleria | Cicles | 2

Cicles: La cicles a Bologna non è altro che la chewing gum, nessuno la chiama gomma. La cicles è quella che si mastica, la gomma è quella che ti cambia il meccanico [Fonte: https://www.socialfoodlove.com/dialetto-bolognese/]

 

Galleria | Umarell | 1

Umarell:  la parola “umarell” (meglio se al plurale “umarells”) indica un anziano in pensione che passa il tempo a guardare i cantieri, in particolare i lavori stradali, magari dando consigli indesiderati [fonte: https://www.paologambi.com/it/2020/11/12/le-10-parole-bolognesi-che-tutto-il-mondo-ci-invidia/]

Galleria | Kéké | 13

“Adolescence was a widely explored theme in art around 1900. In Adolescentia, a painting steeped in symbolism, Elena Luksch-Makowsky captured this fragile state on the threshold between childish play and awakening sexual interest: Slightly ungainly yet confident nonetheless, a larger-than-life girl is shown standing in a meadow covered with spring flowers. Some distance away, young, pubescent men visibly react to her presence. Born into a family of artists in St. Petersburg, the painter had moved to Vienna with her husband, the sculptor Richard Luksch. Here the artist worked in various media, creating both paintings and designs for sculptures”.
fonte dalla didascalia del quadro di Elena Luksch-Makawsky Adolescentia ubicato nel museo Belvedere (Wien)

 

Galleria | a love storyboard | 12

Galleria | Gemeinschaft | 11

Gemeinschaft e Gesellschaft (generalmente tradotto come «comunità e società») sono categorie utilizzate dal sociologo tedesco Ferdinand Tönnies, al fine di classificare i legami sociali. […] Nella sua opera Gemeinschaft-Gesellschaft, pubblicata nel 1887, i legami sociali possono essere classificati, da un lato, come una forma di interazioni immediate e personali, su cui si basano ruoli, valori e credenze vissute in maniera organica e comunitaria (Gemeinschaft, tradotto in «comunità»), o invece come interazioni indirette, da cui derivano ruoli più impersonali, valori formali o artificiali, e credenze meno condivise (Gesellschaft, comunemente tradotto come «società»). […] Eric Hobsbawm ha sostenuto che la globalizzazione trasforma l’intero pianeta in una specie di Gesellschaft avvertita come sempre più distante dall’essere umano, così anche collettivi politici che fanno riferimento all’area identitaria fanno fittiziamente riferimento alle qualità di Gemeinschaft per riforgiare artificialmente legami di gruppo e le identità.
fonte wikipedia Gemeinschaft e Gesellschaft

Galleria | stadt 30 km/h | 10

Galleria | touristische aktivitäten | 8

Galleria | Architektur | 6

EP.09 Yohamin e la sua parte

“Libertà è partecipazione”, cantava un uomo. “Comunità è inclusione” pratica una donna. L’ultimo episodio di questa terza edizione incorona Yohamin, fondatrice dell’Associazione La mia parte, a Milano. La sua voce ci guiderà nell’ascolto di altre, quelle taciute o pensate per cantare solo ninne nanne. In questo nono episodio di Incoroniamoci ci accorgeremo che le voci delle donne sono capaci di invocare e pretendere anche altro oltre ai doveri: diritti, spazio e libertà.

Si ringrazia per il tempo e l’esperienza condivisa: Yohamin Teshome

Brano: Ana Tijoux, Antipatriarca, 2014

Per ascoltare l’episodio: clicca sul seguente link! Buon ascolto :)

EP.08 Beni nel paese d’avorio

Agli occhi di un pittore il colore è l’elemento della sua grammatica visiva perché strumento espressivo attraverso cui dipinge, descrive e rappresenta la realtà. Per altri, poi, il colore della pelle è invece sentore di benessere o povertà, salvezza o minaccia, pulizia o sporcizia. Cosa vedono invece i nostri occhi? Ascolta la voce di Beni, originaria della Repubblica Democratica del Congo oggi in Italia, che in questo ottavo episodio di Incoroniamoci ci guiderà per allargare l’orizzonte del nostro sguardo.

Si ringrazia per il tempo e l’esperienza condivisa:
Beni Bernadette e Rahma Nur

Brano:
Paul McCartney, Stevie Wonder, Ebony and Ivory, Columbia (US), Parlophone/EMI (UK), 1982

Per ascoltare l’episodio: clicca sul seguente link! Buon ascolto :)

EP.07 Martina, 400 Km verso il futuro

Qual è il futuro di chi è giovane in Italia? Sotto gli slogan tuonanti, le raggelanti statistiche sulla disoccupazione, sul lavoro precario e il calo demografico si muove un magma fatto di consapevolezze e rivendicazioni, la cui attività esplosiva si conclude nell’atto della decisione, della scelta. Questo settimo episodio di Incoroniamoci racconta un capitolo della storia ancora non scritta di Martina, archeologa, la cui nave ha salpato l’ancora per raggiungere le nuove sponde del mondo del lavoro.

Si ringrazia per il tempo e l’esperienza condivisa:
Martina Monni

Brano:
Lucio Corsi, Cosa faremo da grandi?, Sugar Music, 2019

Film:
Il laureato, Mike Nichols, Stati Uniti d’America, 1967

Per ascoltare l’episodio: clicca sul seguente link! Buon ascolto :)

Galleria | 最も美しい夏:本土 | 4

* per conoscere la storia del Teatro Margherita ascolta il podcast [Radio3, Le Meraviglie]

Galleria | Scatti degli ultimi ventisette anni di un’italo-pinay