Loading...

(Just one moment)

Backgroound Image

Osservatorio LAVORO DOMESTICO e DI CURA | F di Film

The Flor Contemplacion Story (1995)

Regista: Joel Lamangan
Protagonista: Nora Aunor
Genere: Drammatico, Biografico

Il film è la drammatizzazione della vera e controversa storia di Flor Contemplacion, una lavoratrice domestica filippina emigrata a Singapore.

La vicenda inizia mostrando la vita normale di Flor, una madre di famiglia che, come milioni di suoi connazionali, si è trasferita all’estero per lavorare e mandare i soldi a casa, sacrificando affetti e una vita quotidiana con i propri cari.

La sua esistenza precipita nell’incubo quando viene accusata dell’omicidio di un altro lavoratore filippino, Delia Maga, e del bambino di quattro anni che era sotto la sua tutela. Nonostante le sue ferme dichiarazioni di innocenza, Flor si ritrova sola in un sistema giudiziario straniero che non comprende appieno.

Il film segue la sua battaglia legale disperata e solitaria, le pressioni politiche, le inchieste lacunose e le torture psicologiche che subisce durante la detenzione. Parallelamente, viene mostrato l’impatto della tragedia sulla sua famiglia nelle Filippine e la mobilitazione dell’opinione pubblica filippina, che trasformò il suo caso in un cause célèbre nazionale, mettendo sotto accusa il governo per la sua incapacità di proteggere i propri cittadini all’estero.

  • Qui per guardare il film
  • Qui per leggere un articolo in tagalog dedicato alla magistrale attrice filippina Nora Aunor  pubblicato su Pinoy Weekly

Triangle of Sadness (2022)

Regista: Ruben Östlund
Protagonisti: Harris Dickinson, Charlbi Dean, Woody Harrelson, Dolly De Leon
Genere: Commedia nera, Satira

Vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, Triangle of Sadness di Ruben Östlund condensa in 142 minuti la fragilità di quei rapporti di classe il cui status appare impossibile da sabotare.

Ruben Östlund lo ha reso invece possibile, intervenendo direttamente sullo spettatore. Il film è stato infatti reputato “assurdo”, “strano” da occhi appartenenti ai ceti sociali più o meno abbienti, mentre ha provocato un senso di orgoglio presso quel pubblico composto da persone che, non possedendo mezzi di produzione, non ha altra ricchezza che le proprie braccia, le quali presta sottoforma di forza-lavoro dietro il compenso salariale.

Dolly de Leon, attrice filippina, interpreta magistralmente il personaggio di Abigail, l’inserviente dello yacht di lusso, incarna – dai primi minuti della sua comparsa in scena – “la filippina”.

Quest’ultima espressione fa parte di un meccanismo di identificazione attraverso cui a una data identità nazionale o etnico-razziale vi corrisponde una precisa condizione lavorativa: Abigail è, dunque, l’ennesima filippina che svolge i cosiddetti “lavori umili” e che, quindi, cura, rassetta, cucina.

Ma lungi dall’essere un rinforzo allo stereotipo quello del regista, perché il film riserva uno sviluppo nella sua trama per cui i ricchi villeggianti della crociera di lusso si ritrovano improvvisamente a dover obbedire ad Abigail che, unica in grado di gestire la situazione di difficoltà in cui si ritrovano, riesce a guadagnarsi il rispetto altrui. Di quegli altri che prima la disprezzavano.

In Italia, per converso, le lavoratrici del settore domestico e di cura faticano a ottenere pieno riconoscimento dei loro diritti e, a rigor di logica, maggiori tutele. Si tratta perlopiù di donne di origini straniere che, nonostante il ruolo economicamente attivo di breadwinner (procacciatrici di reddito) delle loro famiglie, sono da sempre escluse dal percorso di emancipazione economica e partecipazione sociale previsto in un sistema socio-politico che si dichiara essere democratico.


Bread and Roses (2000)

Regista: Ken Loach
Protagonisti: Pilar Padilla, Elpidia Carrillo, Adrien Brody
Genere: Drammatico sociale

Bread and Roses uscito nel 2000 e diretto da Ken Loach, è un dramma politico sociale che racconta la storia delle lotte dei lavoratori ispanici immigrati illegali in California, noti come “janitors”, addetti alle pulizie degli uffici, che cercano di sindacalizzarsi per resistere allo strapotere delle ditte per cui lavorano. «Noi vogliamo il pane, ma vogliamo anche le rose. Vogliamo tutte le cose belle, tutte le cose belle della vita». 

Osservatorio LAVORO DOMESTICO e DI CURA | tita Lorelei e tito Renato

tita Lorelei e tito Renato sono una coppia filippina arrivata in Italia in momenti diversi, uniti da un percorso di sacrificio e resilienza. Lei è arrivata per prima, nel 1991, su un treno che da Zurigo scendeva verso Milano per poi fermarsi a Roma. A differenza di altri, all’arrivo non c’era nessuno ad aspettarla.

“Volevo studiare ingegneria”, racconta Lorelei, “ma a casa avevano bisogno di soldi. Così ho messo da parte i libri e ho iniziato a lavorare”. In quel periodo ha condiviso casa con un’altra donna filippina, che le ha insegnato a pulire. “Mi portava con sé, e io imparavo guardando”.

Quei primi anni sono stati segnati da una solitudine tagliente. “Quando lasci il tuo paese, sai che la tua vita coniugale dovrà affrontare molti ostacoli. Io piangevo tutte le sere”, confessa. Renato la raggiunge solo nel 2008, grazie al ricongiungimento familiare. È stata lei, allora, a insegnare a lui il mestiere.

Renato ricorda vividamente la sua prima esperienza come badante: “È il lavoro più difficile, soprattutto quando l’anziano pesa più di te. A volte perde la pazienza e ti sgrida”. Entrambi, oggi, preferiscono di gran lunga le pulizie. “La mattina presto in ufficio o al bar non c’è nessuno che ti guarda o ti dice come fare. È un lavoro tranquillo”, spiega Lorelei.

Eppure, nonostante i ventotto anni di esperienza, quel lavoro non lo sente davvero suo. “Soffro quando mi chiamano ‘la donna delle pulizie’. Rimpiango di non aver potuto studiare”. Renato le posa una mano sulla spalla e sorride: “Non devi vergognarti. È un lavoro dignitoso, come tutti gli altri”.

Osservatorio LAVORO DOMESTICO e DI CURA | Cristina

Incontro Cristina per un’intervista, che si è svolta in uno degli appartamenti che pulisce di solito il giovedì. Appena arrivo, mi accoglie con un gesto verso lo spazio intorno a noi: “Hai visto quant’è piccola? Per fortuna qui non c’è troppo lavoro. Domani, però, mi tocca pulire le finestre di un edificio di suore a Piazza Navona”.

Mentre maneggia il ferro da stiro, Cristina mi racconta di lavorare per una cooperativa, un’impresa di pulizie. “Ti assegnano uffici, condomini, appartamenti… insomma, quello che capita. Io di solito faccio uffici e condomini”, spiega. Sono tre anni che lavora così, ma nel frattempo ha anche avviato lavoretti in proprio. “La cooperativa non è sicura”, ammette. “Ho lavorato per altre cooperative prima: nelle scuole, in altre case… Poi hanno chiuso, e io sono rimasta in difficoltà. Quando cala la domanda, perdono gli appalti e ti licenziano all’improvviso”.

Si tratta soprattutto di una questione di stabilità. Cristina cerca altri lavori soprattutto per ragioni economiche: “La cooperativa paga poco. In privato, invece, il prezzo lo decidi tu con il cliente. Con la cooperativa devi ammazzarti di lavoro per tirare fuori uno stipendio dignitoso”. Alla fine, però, riconosce un vantaggio: “Essere in regola con la cooperativa un giorno mi garantirà una pensione, fosse pure minima”.

Osservatorio LAVORO DOMESTICO e DI CURA | tita Shie

Il primo settembre 2018 incontro Shie. Mi racconta che nel 2008 lasciò il suo paese, le Filippine, e la sua famiglia. Appena arrivata in Italia fu accolta dai parenti, già da tempo residenti in Europa. Ricorda bene la sua prima volta a Roma: “Mi è piaciuta la città, ma ho avuto subito paura. Sentivo che la lingua e il lavoro sarebbero stati difficili”.

Il suo primo impiego fu come collaboratrice domestica. “I datori di lavoro erano molto disponibili, parlavano inglese. Ma i bambini mi trattavano male”, racconta. Poi aggiunge: “Se i bambini che accudisci non li hai cresciuti tu, ti mancano di rispetto. Per esempio, quando piegavo i loro vestiti e li mettevo sul letto, loro li buttavano giù apposta per farmi dispetto. E poi è difficile prendersi cura dei figli degli altri, vederli crescere, senza sapere come stanno i tuoi”.

In undici anni in Italia, Shie non ha mai voluto fare la badante. “È il lavoro più difficile, rispetto alle pulizie e a fare la tata. Non sono abituata a parlare con gli anziani, a lavarli”, confida.

Quando le chiedo se si sia mai sentita trattata male dai datori di lavoro, risponde: “Grazie a Dio, adesso tutti i miei datori sono buoni. Ma in passato ho lavorato in una casa in zona Prati e la padrona era molto tirchia: non mi lasciava usare l’acqua calda per lavare i piatti. Quando le mostrai le mani screpolate, mi disse di usare i guanti. Inoltre la madre, dopo che pulivo il pavimento e passavo la cera, sbriciolava per terra il biscotto che stava mangiando”.

Oggi Shie lavora in sei case diverse, tutte con contratto part-time. “È meglio lavorare con il contratto, sia per me che per i miei datori. È più sicuro essere in regola: hai la tredicesima, i giorni di malattia pagati e le ferie”.

Concludiamo l’intervista con il suo appello ai datori di lavoro, presenti e futuri:
“Io spero di essere trattata bene anche in futuro. Con questo lavoro non puoi aspirare al meglio, ma speri sempre che al colloquio ti capiti una brava persona. Preferisco guadagnare di meno ma lavorare in un ambiente accogliente, piuttosto che guadagnare qualche euro in più e avere datori che non apprezzano quello che fai”.