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Os.03 “Afghan hopes”

“C’era una volta” è una formula che mal si adatta a questo incipit perché “c’è ancora” speranza nel paese della segregazione di genere. Questa attesa fiduciosa nei riguardi di un evento favorevole è il nome di una giovane artista afghana, Hella, che proprio ne porta il significato . Tra le sue opere un quadro invoca questo sentimento: il paesaggio appare sovrastato dalle montagne non ancora innevate e il verde di una natura rigogliosa predomina su tutta la tela. Sulla sponda di un fiume siede un uomo, è in compagnia di una donna in procinto di raccoglierne l’acqua. Questo dipinto è intitolato “Afgan hopes”. 

Sono speranze che rischiano però di collassare. Dall’agosto del 2021 il giogo talebano continua a perseguire l’apartheid di genere, minacciando perniciosamente le battaglie delle donne afghane. In una raccolta di storie, saggi e dipinti, Afghan women at the forefront of climate change, alcune di loro – Mozhgan, Yalda, Hadia, Hella – hanno testimoniato come l’aumento di calamità naturali abbia reso ulteriormente insostenibile  la loro condizione.

Ne abbiamo parlato su DOTZ.media
♦♦ In copertina il quadro Afghan hopes dell’artista Hella Hedai 

 

Os.02 Respect Overseas Filipino Worker

 

Ipinalabas sa mga sinehan sa Italy noong Setyembre 2022 ang pelikula Triangle of Sadness na ipinakita na ang pagkakaroon ng maraming pera ay hindi ang pinakamahalagang bagay. 

Sa katunayan, ang pelikula ay itinuturing na “walang katinuan” ng mga taong may kaya. Ngunit sa halip ay ipinagmalaki niya ang mga taong  na maaari nating ipahiwatig bilang isang kategorya na walang ibang kayamanan maliban sa kanilang sariling mga kamay, na kanilang “pinahihiiram” sa likod ng sahod.

Sa pelikulang ito ang aktres na si Dolly de Leon, sa pamamagitan ng karakter ni Abigail (tagapaglinis ng isang cruise ship) ay ibinagsak ng stereotype “ng mahinang pinay na laging nangangailangan ng tulong”.

Nang biglang lumubog sa bagyo ang cruise ship, nagsimulang sumunod kay Abigail ang mga mayamang survivors dahil siya lang ang marunong mangisda, magluto at gumawa ng silungan sa isla. Sa ganitong paraan nakuha ni Abigail ang respeto ng iba na hindi siya pinansin noon.

Sa Italy naman, ang mga babaeng OFW ay hindi pa nakakakuha ng ganap na pagkilala sa kanilang mga karapatan at kanilang kahalagahan sa bansa, sa kabila ng kanilang kahalagahan sa ekonomiya dahil sila ang breadwinners (income earners) ng kanilang mga pamilya; at ang kanilang kahalagahan sa lipunan dahil sila ay isang mahalagang suporta para sa mga pamilyang italyano.

♦ Il presente commento in tagalog  è un breve estratto di un articolo pubblicato per Dotz

Cloe Bianco insegna

[15 giugno 2022]

In una calda e asfissiante sera di giugno il contatto visivo – appuntamento abituale e al buio – tra me e quella cintura grigia che è il GRA veniva tagliato per qualche secondo dal camioncino dei rifiuti, che proprio quella sera si presentava di fresca verniciatura.  Sulla fiancata destra dell’automezzo brillava “Ama, per un futuro sostenibile”.

Ora quel bisillabo, oltre essere l’acronimo di “Azienda Municipale Ambiente”, costituisce una più che precisa strategia comunicativa bivalente: l’una già specificata, l’altra finalizzata a evocare il verbo amare. Cioè il verbo esortativo/imperativo (ama, tu!), seguito poi da un complemento di fine “per un futuro sostenibile!!”.
Terminata l’analisi logico-
grammaticale e calata la notte, l’indomani mattina – sempre di quel giugno caldo e asfissiante – i cittadini malagrottesi si svegliarono con la notizia sull’incendio del TMB: le fiamme divampavano iraconde, bruciando lo schermo del televisore. E mentre la nube tossica s’impadroniva del quartiere spodestando lo smog, il cielo si fece sempre più nero. Ma non capimmo che fu anche perché era in lutto. Nel Bellunese, in un’anonima mattina del 15 giugno, i pompieri domarono le fiamme di un camper che stava andando a fuoco, sedando quindi le grida strazianti  di Cloe Bianco. 

Come i rifiuti ci differenziano:  profughi, immigrati, stranieri, persone con disabilità, lgtbq+, poveri nei TMB, nei CPR, nelle case andate a scatafascio, nelle carrozzine dentro le mura domestiche, nei camper o nei box. E poi ci isolano con un materiale altamente infiammabile – tristezza, depressione, solitudine e via discorrendo – finché poi accendono la miccia. 

È qui che muore la democrazia. È qui che viene parcellizzata, smistata, differenziata e resa mero successo comunicativo. Non fu infatti casuale la visita del giorno dopo di un sindaco che avrebbe fatto il sopralluogo, concludendo infine così “le fiamme dell’incendio a Malagrotta sono sotto controllo e il danno per la salute dei cittadini scongiurato”.

[6 mesi dopo]

Mercoledì, 14 dicembre, è stata archiviata l’inchiesta avviata dopo la morte della Docente Cloe Bianco: nessun reato di istigazione al suicidio per la procura di Belluno.
Leggere le righe degli articoli in circolazione significa anche avvertire la sussistenza e la fondatezza di una verità silenziata, l’ennesima. Cloe Bianco non ha praticato autochiria perché annoiata dalla vita, anzi. Un’entità che non ci è estranea – e che Cloe Bianco chiama “società” nel suo blog – ha esercitato violenza, accendendo in lei dolore atroce e poi infiammato. Demansionata – umiliata – derisa – relegata in segreteria, Cloe Bianco oggi può ancora insegnare. Insegnarci a vivere insieme. A convivere. Nel suo blog PERsone TRANSgenere è possibile imparare cosa significa essere minoranza, essere bruttƏ in una maggioranza che tende e ostenta il bello. Cloe Bianco ci insegna le parole. Non disperdiamole.

♦ In copertina un’anteprima del blog della Professoressa Cloe Bianco

Os.01 Le mostre fotografiche sull’Altro: modalità di costruzione e ricezione

Fino al 27 novembre dell’anno corrente il Palazzo delle Esposizioni di Roma ospiterà “Vicino/lontano” una mostra fotografica che si dichiara essere un “viaggio alla scoperta del patrimonio culturale e naturale dell’immigrazione in Italia”.

“Oltre quattrocento scatti”, pubblicizza la notizia, “da fotografi provenienti dai Paesi con il maggior flusso migratorio verso l’Italia”. Lo scopo? Quello di “favorire il confronto e la reciproca conoscenza tra migranti e cittadini italiani ricordando che la Dichiarazione sulla Diversità Culturale dell’UNESCO afferma che “nelle nostre società sempre più diverse è essenziale assicurare un’armoniosa interazione tra persone e gruppi con identità culturali plurali, varie e dinamiche, così come la loro volontà di vivere insieme”.

Tuttavia resta urgente stringere il diaframma della fotocamera per scansare ogni rischio di essere accecati dalla luce di cotanto stimabile filantropismo. La mostra, difatti, è suscettibile di almeno tre obiezioni:

  1. La bellezza estetica degli scatti rinforza in chi li guarda il gusto per l’affascinante quanto deleterio esotismo, confermando le suggestioni artificiali dei “paesi lontani”, dove l’Altro è nominato e perde il potere di significare (E.W. Said, 1978).
  2. L’assenza di didascalie annulla il dialogo tra la testimonianza visiva e chi la visita/la guarda, scoraggiando ogni forma di “interazione” o, quantomeno, di riflessione.
  3. La somma delle prime due criticità e il vuoto in massa delle storie, dei volti e dei corpi nella sala e sui muri invisibilizza perché idealizza ancora e di nuovo chi questo paese lo costruisce, lo cura e gli serve i piatti tavola.

Smetteremo mai di essere solo l’incenso fumante nel vostro salone, il curry sul vostro pollo, il cous cous della vostra cena etnica? Imparerete a capire perché lo si accende, perché è più buono mangiato con le mani e, infine, come si cucina realmente? Cominceremo mai insieme e vicendevolmente a sentire meno quel “vicino/lontano”?

AVVERTENZA: Il post non intende deligittimare il percorso creativo e intellettuale dei/lle fotografi/e coinvolti/e. Ogni singolo scatto ha luce propria.
È, piuttosto, un invito all’organizzazione di pratiche meno omologanti e autoreferenziali che abbiamo come scopo ultimo quello di coinvolgere attivamente coloro i/le quali sono definiti/e “portatori e portatrici di differenza”.

K.V.V