Fino al 27 novembre dell’anno corrente il Palazzo delle Esposizioni di Roma ospiterà “Vicino/lontano” una mostra fotografica che si dichiara essere un “viaggio alla scoperta del patrimonio culturale e naturale dell’immigrazione in Italia”.
“Oltre quattrocento scatti”, pubblicizza la notizia, “da fotografi provenienti dai Paesi con il maggior flusso migratorio verso l’Italia”. Lo scopo? Quello di “favorire il confronto e la reciproca conoscenza tra migranti e cittadini italiani ricordando che la Dichiarazione sulla Diversità Culturale dell’UNESCO afferma che “nelle nostre società sempre più diverse è essenziale assicurare un’armoniosa interazione tra persone e gruppi con identità culturali plurali, varie e dinamiche, così come la loro volontà di vivere insieme”.
Tuttavia resta urgente stringere il diaframma della fotocamera per scansare ogni rischio di essere accecati dalla luce di cotanto stimabile filantropismo. La mostra, difatti, è suscettibile di almeno tre obiezioni:
- La bellezza estetica degli scatti rinforza in chi li guarda il gusto per l’affascinante quanto deleterio esotismo, confermando le suggestioni artificiali dei “paesi lontani”, dove l’Altro è nominato e perde il potere di significare (E.W. Said, 1978).
- L’assenza di didascalie annulla il dialogo tra la testimonianza visiva e chi la visita/la guarda, scoraggiando ogni forma di “interazione” o, quantomeno, di riflessione.
- La somma delle prime due criticità e il vuoto in massa delle storie, dei volti e dei corpi nella sala e sui muri invisibilizza perché idealizza ancora e di nuovo chi questo paese lo costruisce, lo cura e gli serve i piatti tavola.
Smetteremo mai di essere solo l’incenso fumante nel vostro salone, il curry sul vostro pollo, il cous cous della vostra cena etnica? Imparerete a capire perché lo si accende, perché è più buono mangiato con le mani e, infine, come si cucina realmente? Cominceremo mai insieme e vicendevolmente a sentire meno quel “vicino/lontano”?
AVVERTENZA: Il post non intende deligittimare il percorso creativo e intellettuale dei/lle fotografi/e coinvolti/e. Ogni singolo scatto ha luce propria.
È, piuttosto, un invito all’organizzazione di pratiche meno omologanti e autoreferenziali che abbiamo come scopo ultimo quello di coinvolgere attivamente coloro i/le quali sono definiti/e “portatori e portatrici di differenza”.
K.V.V